Perché non aiutate i terremotati? Lo abbiamo chiesto ad Emergency (che li aiuta)

Ci stiamo avvicinando rapidamente alla triste ricorrenza dei tre anni da quella notte del 24 agosto 2016 in cui tutto è iniziato. Sulla condizione materiale che riguarda la ricostruzione è oramai persino retorico affermare che è tutto fermo e che anche questo governo, fatte le passerelle elettorali, non ha tra le sue priorità i territori dell'Appennino colpiti dal sisma. Ma proprio questa situazione comporta problemi da un punto di vista "immateriale" che spesso rimangono fuori dai riflettori, per questo abbiamo voluto fare il punto con Giovanna Bianco, Psicologa Psicoterapeuta e Referente Progetto Sisma MC EMERGENCY
L'intervista è stata anche l'occasione per parlare con chi opera nell'assistenza a persone in difficoltà - non solo nel post terremoto - delle "contrapposizioni" che vengono create ad arte tra terremotati e migranti, perché sembra che di terremoto non se ne debba mai parlare tranne quando serve alla propaganda politica della paura. Anziché fornire strumenti ai terremotati, questi ultimi rischiano di diventare essi stessi strumento di una becera competizione al ribasso. Creare divisioni tra terremotati, alluvionati, migranti, disabili, disoccupati o tra qualsiasi altra "categoria" di persone in difficoltà favorisce solo chi queste difficoltà dovrebbe rimuoverle e non lo fa.

- Ragionando rispetto alla situazione post sisma uno dei temi che vengono considerati centrali è quello della ricostruzione "immateriale", da questo punto di vista l'attenzione alla condizione psicologica delle persone che hanno vissuto - e continuano a vivere - sulla propria pelle le conseguenze del terremoto 2016/2017 è fondamentale. In questo ambito EMERGENCY è tra i soggetti che operano nel territorio. Puoi parlarci del "Progetto Sisma", in cosa consiste e della presenza di EMERGENCY nel territorio?
Il Progetto Sisma di Programma Italia di EMERGENCY opera nel territorio del Maceratese da marzo del 2018 e nel cratere del teramano da febbraio del 2017 per fornire assistenza sociosanitaria gratuita alla popolazione colpita dal sisma del 2016. L’obiettivo è quello di offrire servizi sanitari liberi e gratuiti di sostegno alla salute fisica e mentale che orientino successivamente le persone anche verso i servizi pubblici presenti nel territorio. Dall’8 marzo 2018 al 31 maggio 2019 sono state effettuate 1559 prestazioni in totale, di cui 1129 di tipo psicologico. Circa l’8% dei pazienti è costituito da minori accompagnati dai propri genitori per problematiche di tipo psicologico connesse agli eventi sismici passati.
Secondo un calendario prestabilito, sono presenti un’infermiera ed una psicologa psicoterapeuta negli ambulatori medici di Muccia, Visso, Caldarola, presso il presidio ospedaliero di Camerino e la sede provvisoria del Consultorio di Tolentino, presso l’Area Container di Tolentino e infine nel comune di Pieve Torina con un’unità mobile di EMERGENCY, chiamata Art. 10. Il progetto totalmente autofinanziato da EMERGENCY opera in sinergia con le istituzioni locali attraverso un Protocollo di Intesa con l’Asur Marche e in stretto contatto con le associazioni ed i Comitati nati dopo il sisma, anche avvalendosi dei gruppi volontari locali EMERGENCY presenti ed attivi nelle Marche e in Umbria.


- A seguito della vostra esperienza e di quanto avete potuto osservare con il progetto, qual è la condizione psicologica delle persone che vivono nei paesi di quello che comunemente viene chiamato cratere? Come è cambiata la situazione nel tempo?
Abbiamo incontrato le comunità durante il rientro dalla costa nelle Soluzioni abitative di emergenza preposte nei loro paesi, che si sono ricongiunte a chi era sempre restato li, come gli allevatori, gli amministratori, il personale delle scuole, dei comuni e dei servizi, i capi famiglia e molti giovani.
Questa è stata una fase importante del percorso “interno” di ricostruzione dell’identità delle persone che, hanno potuto ritrovare la propria terra, il legame con i propri cari e la propria memoria storica. Nel tempo, stanno accettando ed elaborando quanto tutto sia profondamente cambiato e diverso da prima: le vite personali, lavorative e sociali da ricostruire tanto quanto le proprie case, le piazze, i negozi ed i servizi alla persona. Ogni condizione psicologica che abbiamo osservato ha una propria specificità e una sfaccettatura diversa e profonda: dal desiderio di ripartire e progettare, alla tristezza e la rassegnazione per il proprio futuro; dallo stato di continua allerta, dato anche dalla sismicità che prosegue nel territorio, all’accettazione e all’adattamento della condizione attuale; dalle problematiche corporee acute e/o croniche tipicamente connesse alle situazioni di stress psicofisico a quelle emotive e relazionali del trauma psicologico. Sempre più incontriamo persone e comunità consapevoli fortemente motivate e determinate ad elaborare quanto accaduto per il proprio presente e futuro, ma anche per quello dei propri cari, della comunità e della terra.


- EMERGENCY è un'Associazione Non Governativa (ONG) che opera in contesti di crisi anche molto diversi tra loro, se dovessi fare un parallelismo tra la situazione di chi si trova a vivere nelle zone dell'Appennino colpite dal terremoto a quale altra situazione potresti accostare le problematiche emerse?
Il punto di incontro fra realtà tanto distanti e differenti sta nella difficoltà di accedere ai diritti fondamentali, in questo caso alle cure. Sta, inoltre, nell’abitare quella zona grigia che la sociologa Saskia Sassen chiama “margine sistemico”, dove si ritrovano le persone più vulnerabili, allontanate dal “centro” della società per le ragioni più disparate: difficoltà economiche, barriere culturali o in questo caso catastrofi naturali.
Da parte nostra, sappiamo che il fattore comune a situazioni così diverse è racchiuso in un’idea piuttosto semplice: quando le persone stanno male hanno tutte nello stesso modo bisogno di risposte. La nostra attività quindi si propone di tracciare una linea comune universale sulla necessità dell’uomo di essere curato quando ha bisogno.


- In concomitanza con situazioni di cronaca che riguardano aiuti o assistenza ai migranti - non ultimo il caso che ha riguardato la Sea Watch 3 - c'è chi cerca di creare contrapposizioni tra la condizione dei terremotati e quella di chi arriva nel nostro paese dai tanti sud del mondo. "Perché non aiutate i terremotati", "Per i terremotati questo non è stato fatto", etc. Cosa rispondete a queste affermazioni voi che operate in contesti che riguardano entrambe le situazioni di intervento?
Il fatto che siamo presenti in entrambe le situazioni di intervento svela immediatamente la vera natura di certe contrapposizioni: sono strumentalizzazioni rivolte a creare solchi e fratture sociali. Come operatori umanitari il nostro compito è quello di assistere qualunque persona da un punto di vista socio-sanitario. Cerchiamo di farlo al meglio della nostra professionalità e possibilità, nel rispetto delle regole ma sempre avendo come priorità la situazione di salute del paziente. Quindi al centro ci sono la persona e il suo stato di salute, non ci sono altre distinzioni.


- Da un punto di vista dell'intervento che viene effettuato e delle problematiche riscontrate ci sono analogie tra la condizione di chi ha vissuto i due traumi, anche se molto diversi tra loro?
Ci sono grandi differenze per vari motivi: di contesto, legati alla storia della persona, alla sua capacità di resilienza personale, a il numero di eventi traumatici subiti ecc. Un evento traumatico non è uguale per tutti, come non sono uguali le “ferite” che questo procura nel corpo e nella mente.


- La cosa che sembra accomunare la condizione dei terremotati a quella dei migranti - come a quella di altre fasce deboli della popolazione - sembra essere proprio quella dell'esclusione. Esclusione dai processi decisionali, esclusione da interventi sistemici volti a risolvere le problematiche, esclusione dal dibattito pubblico se non quando funzionali ad essere usati per deviare l'attenzione rispetto ad altre tematiche. Anziché parlare di contrapposizioni, si potrebbe quindi parlare di rivendicazioni comuni?
Si dovrebbe parlare di rivendicazioni comuni. Un tempo a lottare per i diritti delle classi meno fortunate erano prevalentemente italiani; oggi gli scioperi dei lavoratori di settori maggiormente esposti a sfruttamento vedono una larghissima partecipazione di stranieri. Questo ci dice certe rivendicazioni non sono legate al passaporto. Avanzare nel terreno dei diritti fa bene alla società tutta, per intero, senza distinzioni. Per questo i nostri interventi mirano a curare e quindi a includere a 360 gradi: c’è il bisogno di salute contingente, poi c’è il dialogo con le istituzioni per un corretto orientamento ai servizi sul territorio al fine di rendere l’utenza consapevole dei propri diritti e quindi indipendenti nel poter fruire dell’assistenza dovuta.