Lo stato della ricostruzione
fisica dei territori colpiti dal sisma è sotto gli occhi di tutti e le
responsabilità dei vari livelli e delle varie parti della politica sono sempre
più evidenti. Quattro governi, tre commissari, decreti specifici, numerose
ordinanze e la situazione ancora non sembra sbloccarsi. A fronte di questa
situazione talmente tanto grave e statica da apparire (purtroppo) oramai come “normale”,
ci sono ulteriori aspetti del dopo sisma di cui si parla ancora poco in maniera
sistemica, ovvero mettendo insieme i vari pezzi.
Ci sembra quindi sensato mettere
in evidenza quanto sta avvenendo nell’entroterra maceratese e anconetano, dove
lo scenario del post-sisma sta aprendo la strada a speculazioni e devastazioni
ambientali di vecchia e nuova origine. Sembrano infatti sommarsi le opere
impattanti che rischiano di compromettere il destino di un vasto territorio,
che parte da Fabriano, passa per Matelica e giunge sino a Muccia. Una fascia
appenninica nella quale si stanno mettendo in opera attori, interessi e
processi che in nome dello sviluppo economico e della “ricostruzione sociale”
minacciano la sostenibilità e la salubrità di questi luoghi.
Ma andiamo con ordine. Da diversi
anni chi si occupa di studiare i contesti interessati dai terremoti concorda
nell’affermare che il disastro rappresenta l’occasione per impiantare nuovi
modelli di sviluppo, quasi sempre speculativi, sostenendo che possano giovare
alla ripresa economica e occupazionale. Come denunciamo da tempo stiamo
assistendo a diverse scelte calate dall’alto, compartecipate da attori pubblici
e privati, carenti di confronto con le popolazioni locali, che in nome della
ricostruzione stanno innestando progetti che vanno dall’agricoltura alle
infrastrutture viarie fino al turismo.
Facciamo
difficoltà ad abituarci a questo connubio tra interessi privati e investimenti
pubblici che muovono verso orizzonti diversi da quelli rappresentati dai
principali bisogni delle popolazioni. Tuttavia abbiamo imparato a confrontarci
con questa realtà. Quanto sta però avvenendo in queste settimane rappresenta un
salto di qualità, sotto vari aspetti. Intanto
poiché si sta concretizzando la possibilità che l’entroterra maceratese arrivi
a ospitare una nuova discarica, destinata al conferimento e trattamento di
diverse tipologie di rifiuti.
Lo scorso 28 Novembre è stata
approvata dal consiglio comunale di Matelica una mozione stimolata dall’associazione
Itidealia che prevede parere contrario all’installazione di un centro di
smaltimento rifiuti nel territorio matelicese e in quelli limitrofi. Tale
provvedimento emerge in seguito alla crescente pressione da parte della
Provincia nel trovare collocazione a una nuova discarica in vista
dell’imminente chiusura del sito di Cingoli. I lavori di “ricerca” da parte
della Provincia hanno visto nel 2017 la
redazione di una mappa di tutti i siti idonei del territorio provinciale e
molti di questi si trovano in comuni danneggiati dagli eventi sismici.
Da tempo, ancora prima degli
eventi sismici, si vocifera che tra Matelica, Gagliole, Castelraimondo ed
Esanatoglia possano sorgere impianti di questo tipo (o addirittura un
inceneritore). L’attenzione dei sindaci del territorio sul tema si è sempre
rilevata altalenante, mostrando posizioni talvolta poco chiare.
Questa ambivalenza si lega ad
altre vicende accadute nelle scorse settimane, tra cui la possibilità di
acquisizione da parte dell’ex sindaco di Matelica Sparvoli e di un altro socio
privato dell’Antonio Merloni Cylinders Gergo Group. Caso vuole che nell’oggetto
sociale dell’azienda sia indicato il “trattamento, trasporto, smaltimento,
stoccaggio di rifiuti solidi urbani, urbani pericolosi, speciali e tossiconocivi”.
In seguito alla rivelazione di questo particolare sono tuttavia seguite
smentite relativamente all’intenzione di far operare l’azienda per simili
scopi, sebbene la preoccupazione dell’opinione pubblica locale permanga alta.
Gli abitanti del territorio sono
infatti altamente preoccupati per i numerosi danni ambientali che sta subendo
il comprensorio. Alle vicende fin qui menzionate si somma la ripresa dei lavori
per il proseguimento della pedemontana Fabriano-Muccia, che ammesso e non
concesso che si trasformerà in un’opera compiuta in tempi ragionevoli potrebbe
rivelarsi un "ottimo" crocevia per mezzi pesanti destinati al trasporto di
rifiuti. Questa sembra una delle principali
preoccupazioni del Comitato Pedemontana Matelica, che si va ad aggiungere ai numerosi espropri eseguiti in questi giorni
e alla conseguente eliminazione di 250 ettari di vigne. La pedemontana,
infatti, nasce come opera destinata al traffico di mezzi pesanti e non come
strumento di promozione del turismo e del territorio come da più parti si sta
sostenendo. Bisogna poi considerare che
i cantieri fin qui realizzati stanno producendo una vera devastazione del
paesaggio che va a danno delle attività non industriali del territorio, prime
tra tutte quelle connesse all’economia turistica e alla produzione agricola.
Eppure, nonostante queste
evidenze, la pedemontana sembra fortemente voluta e in molti sembrano scordarsi
che oltre al danno c’è anche la beffa: il
tracciato della nuova strada marcia parallelamente a buona parte delle strade
esistenti e i costi di realizzazione stimati sono di 320 milioni di euro.
Soldi pubblici che potevano essere investiti in progetti capaci di generare
occupazione e servizi di cui il territorio avrebbe realmente bisogno. Invece, una strada progettata decenni fa, che
agevolerà il transito più che la permanenza in questi territori, ha la priorità
su investimenti ben più necessari.
Sempre nel territorio di Matelica
dovrebbe svilupparsi quello che oramai sembrerebbe il futuro dell’agricoltura maceratese:
la coltivazione delle nocciole. Sia Loacker che Ferrero si stanno infatti
muovendo per individuare (operazione in parte già avvenuta) partner locali per
impiantare noccioleti e anche questo progetto che poco o nulla ha a che fare
con le nostre terre viene spacciato come “opportunità per il territorio”. Sui
rischi e sui danni derivanti da questo tipo di monocolture è stato già scritto molto,
anche basandosi su studi fatti in territori dove queste operazioni sono state
effettuate, e ci permettiamo di dire che a noi sembra tutto fuorché
“un’opportunità”.
In questo spaccato di cratere
sembrano ricomporsi i vari tasselli di un vecchio modello di sviluppo che prova
a riciclarsi tramite il connubio tra lo sperpero di denaro pubblico e gli
interessi di grandi gruppi privati. Modello di sviluppo che se da un lato cerca
di vendersi come sostenibile, attento all’ambiente, fiero del risalto turistico
che le Marche stanno avendo nel mondo, dall’altro materialmente parla la lingua
dei danni ambientali, delle opere inutili, di rifiuti e monocolture impattanti.
Queste sono le diverse facce di uno medesimo prisma che poggia sull’idea di
mettere a profitto il territorio con metodi superati e dannosi, sotto la guida
di vecchi e nuovi “salvatori dell’Appennino”, anziché preoccuparsi di
valorizzare la biodiversità, la cultura e la socialità, nonché di garantire
condizioni di vita degne a vaste porzioni di abitanti che continuano a
rapportarsi con la carenza e la progressiva chiusura di servizi essenziali e
con l’assenza di una ricostruzione degna di tal nome. Aspetti, questi, sui
quali sarebbe davvero necessario focalizzare gli investimenti al fine di
frenare la tendenza allo spopolamento e l’idea che oramai si sta concretizzando
da queste parti di essere cittadini di serie B, abitanti di contesti che pesano
poco a livello elettorale e per questo mancano di attenzione, di opportunità e
di futuro.