Lo stato della ricostruzione
fisica dei territori colpiti dal sisma è sotto gli occhi di tutti e le
responsabilità dei vari livelli e delle varie parti della politica sono sempre
più evidenti. Quattro governi, tre commissari, decreti specifici, numerose
ordinanze e la situazione ancora non sembra sbloccarsi. A fronte di questa
situazione talmente tanto grave e statica da apparire (purtroppo) oramai come “normale”,
ci sono ulteriori aspetti del dopo sisma di cui si parla ancora poco in maniera
sistemica, ovvero mettendo insieme i vari pezzi.
Manifescursione ai Pantani di Accumoli - Domenica 27 ottobre 2019
Ritrovo ore 10:00 - Forca Canapine
Perché non aiutate i terremotati? Lo abbiamo chiesto ad Emergency (che li aiuta)
Ci stiamo avvicinando rapidamente alla triste ricorrenza dei tre anni da quella notte del 24 agosto 2016 in cui tutto è iniziato. Sulla condizione materiale che riguarda la ricostruzione è oramai persino retorico affermare che è tutto fermo e che anche questo governo, fatte le passerelle elettorali, non ha tra le sue priorità i territori dell'Appennino colpiti dal sisma. Ma proprio questa situazione comporta problemi da un punto di vista "immateriale" che spesso rimangono fuori dai riflettori, per questo abbiamo voluto fare il punto con Giovanna Bianco, Psicologa Psicoterapeuta e Referente Progetto Sisma MC EMERGENCY.
L'intervista è stata anche l'occasione per parlare con chi opera nell'assistenza a persone in difficoltà - non solo nel post terremoto - delle "contrapposizioni" che vengono create ad arte tra terremotati e migranti, perché sembra che di terremoto non se ne debba mai parlare tranne quando serve alla propaganda politica della paura. Anziché fornire strumenti ai terremotati, questi ultimi rischiano di diventare essi stessi strumento di una becera competizione al ribasso. Creare divisioni tra terremotati, alluvionati, migranti, disabili, disoccupati o tra qualsiasi altra "categoria" di persone in difficoltà favorisce solo chi queste difficoltà dovrebbe rimuoverle e non lo fa.
Vite in scatola - A Tolentino, dentro il villaggio dei container
Vite in scatola è il nuovo progetto di documentario sul doposisma autoprodotto dallo Stato delle cose, in collaborazione con Terre in Moto Marche. Dopo Vista mare obbligatoria, nel quale abbiamo raccolto le voci degli sfollati del terremoto del Centro Italia costretti all’esilio sull’Adriatico, vogliamo indagare e raccontare le dimensioni dell’abitare nelle Italie del doposisma. A cominciare dai territori colpiti dai terremoti nel 2016/2017, dove l’emergenza e la precarietà sono ancora qualcosa di palpabile. Le persone sono sempre le stesse, le storie diverse, ma solo fino a un certo punto.
Vedete il video su Lo stato delle cose
33 mesi, 0 ricostruzione, 2 appuntamenti
Dopo 33 mesi più spiccioli, nonostante ritardi, sae ammuffite, cas che non arrivano, delocalizzazioni che non partono, apparati legislativi contraddittori, tre governi, selfie, candidati che fanno campagna elettorale a pane e ciauscolo per poi scomparire, il nevone del gennaio 2017, le speculazioni, la ricostruzione che non parte, gli appalti non chiari, il “non vi lasceremo soli”, ebbene, nonostante tutto questo (e molto altro) la popolazione dell’Appennino è ancora viva e resistente. Non perché è costituita da eroi e neanche perché, come spesso in maniera un po’ semplicistica si dice, “siamo abituati a fare da soli”, ma semplicemente perché sono - siamo - stati presi in giro per troppo tempo e abbiamo capito che ad un certo punto la parola “Basta” non deve essere una supplica ma un urlo di protesta.
Carta dell’Appennino
Fabriano - 30 marzo 2019
Assemblea verso una Carta dell’Appennino
Con l’obiettivo di condividere e fissare gli elementi che hanno animato il primo incontro aperto sulla Carta dell’Appennino proponiamo una sintesi di restituzione dei lavori. D’ora in avanti la Carta sarà in cammino lungo tutta “la schiena d’Italia”, pronta ad accogliere contributi, modifiche ed integrazioni suggerite da tutte le terre che saranno attraversate. La Carta sarà dunque un mezzo e non un fine, uno strumento che stimoli l’interesse attorno ad un Appennino “altro” che possiamo e dobbiamo immaginare assieme.
Premessa
La Carta dell’Appennino è un percorso che parte a Fabriano, il 30 marzo 2019, nel corso del Festival Terre Alt(r)e e che raccoglie necessità condivise nel tempo da varie realtà e territori.
La Carta fin dal principio non vuole avere carattere vertenziale nei confronti di istituzioni varie. Non si tratta e non si tratterà di una proposta di legge o di richieste da far accogliere dal Governo di turno. La Carta non cerca legittimazione dall’alto, ma nasce come processo costituente che vuole affermare principi e diritti a tutela dell’Appennino basandosi sulle relazioni tra chi vive i luoghi, chi li attraversa e chi se ne prende cura. A partire dai principi che nella Carta trovano e troveranno spazio si potranno poi sviluppare singole vertenze che da essa prenderanno linfa e spunti.
La Carta nasce dalla consapevolezza che senza una progettualità “altra”, che sappia tenere conto delle peculiarità del territorio nel suo complesso, verrà imposta e perpetuata una visione di sfruttamento del territorio che tenderà a gestire l’Appennino come spazio da mettere a valore in termini meramente economici e speculativi, piuttosto che luogo da valorizzare secondo logiche di sostenibilità ambientale e sociale di lungo periodo.
La Carta dell’Appennino è in primo luogo un ponte tra contesti interessati da problematiche simili, in cui la marginalità geografica, l’erosione dei servizi, le scelte politiche, gli andamenti economici, la mancanza di ricambio generazionale e l’emigrazione della popolazione attiva – specie nelle sue componenti più giovani – hanno contribuito a tratteggiare un quadro di declino e di subalternità alla città che si è consolidato negli ultimi anni. Questi contesti, indicati da Rodríguez-Pose quali “luoghi che non contano”, sono presenti nell’intero arco appenninico e innervano la realtà delle aree interne del nostro Paese.
La Carta dell’Appennino vuole quindi essere un’occasione di confronto e uno strumento per affermare la necessità di un cambio di paradigma rispetto ai problemi, alle criticità e al futuro di questi luoghi sia rispetto allo specifico caso delle aree interessate dalla situazione post-sisma, sia in merito ad un orizzonte più allargato, rivolto ad altre terre che condividono simili processi ed esperienze.
La Carta dell’Appennino è un momento di incontro tra persone e idee, ma anche un momento di scontro tra visioni del mondo divergenti. Da una parte, ovviamente, quelle dominanti, affini alle logiche predatorie e inique del capitalismo contemporaneo, delle quali sono sempre più evidenti i meccanismi, gli attori, i progetti e le politiche che interessano i territori dell’Appennino. Dall’altra, quelle meno mainstream, ma non per questo subalterne, delle quali ci sentiamo portatori e portatrici, convinti e convinte come siamo che ogni sguardo al futuro di questi luoghi passi attraverso la necessaria garanzia del presente e il più complessivo ripensamento dello sviluppo in chiave realmente sostenibile ed equa.
I punti della Carta
Oltre il valore economico
La Carta dell’Appennino afferma che il territorio delle terre alte, e più in generale delle aree interne, non può essere concepito come ambiente dedito alla produzione di profitto a breve termine. Le sue peculiarità multiformi lo rendono uno spazio materiale e immateriale da preservare oltre gli aspetti economici. In quanto bene comune, la sua conoscenza e la sua tutela devono essere prese in carico non solo da chi vi abita e da chi ne è custode per prossimità geografica ma da tutte e tutti.
L’unica vera sicurezza
La storia del nostro paese ci dimostra che non esiste territorio al riparo dai disastri ambientali: l’Appennino da questo punto di vista rappresenta un caso studio tutt’altro che irrilevante.
Per questa ragione la Carta dell’Appennino afferma la necessità imprescindibile di una ricostruzione dei territori colpiti, non solo recentemente, dai terremoti tenendo conto dello “stato di rischio” presente e non eludibile. Parallelamente, la Carta ribadisce la necessità di procedere con una messa in sicurezza di tutte le zone a rischio, al fine di evitare una perenne emergenza post-disastro.
Il Climate change ha cessato da tempo di essere una distopia e sta mostrando le sue conseguenze anche nel breve periodo. La Carta dell’Appennino afferma la necessità della messa in opera di tutte le misure di contrasto atte a limitare gli effetti presenti e futuri dei cambiamenti climatici (uscita dal fossile, sistemi di mobilità privata alternativa, incentivo del trasporto pubblico, produzione alimentare ecosostenibile).
Servizi alla persona e vulnerabilità sociale
Le aree interne subiscono da anni tagli ai servizi pubblici che contribuiscono a esacerbare la vulnerabilità sociale di cui l’Appennino soffre oramai in maniera cronica.
La Carta dell’Appennino afferma il diritto di ciascun essere umano ad avere a disposizione i servizi necessari alla sua vita, siano essi di natura sanitaria, sociale, culturale o educativa. I servizi devono essere erogati tenendo presenti i bisogni che esprimono le persone e non possono essere plasmati (leggasi ridimensionati, razionalizzati, chiusi) sulla base di calcoli legati ad analisi costi/benefici avulse da qualsiasi rapporto con le necessità delle popolazioni locali.
Diritto a restare, diritto a partire
Da tempo l’emigrazione ha svuotato queste terre delle sue energie più attive. I giovani, soprattutto, scappano da questi luoghi percepiti come privi di opportunità soddisfacenti dal punto di vista economico e culturale.
La Carta dell’Appennino afferma il diritto a restare e il diritto a partire, ovvero il principio secondo il quale chi abita questi territori possa avere il diritto di scegliere se rimanere o andarsene. Restare o partire non possono essere scelte obbligate da carenze legate alla mancanza di investimenti pubblici e istituzionali, così come venire ad abitare in questi territori deve essere una scelta in cui non pesino mancanze dello stesso genere. Questo implica la necessità di investimenti pubblici adeguati e condivisi con le popolazioni locali, oltre che un coinvolgimento dei giovani che passi attraverso la creazione di opportunità per vivere e trasformare il territorio.
Racconto e narrazioni consolatorie
L’Appennino è terra altra non solo in termini di alterità con il suo opposto, ma anche in termini di eterogeneità interna. Le situazioni territoriali sono plurime e spesso ciò non favorisce la messa in rete di esperienze e la condivisione di obiettivi. Analogamente, assistiamo alla mancanza di una narrazione complessiva e unificante, capace di unire le diverse visioni di cambiamento che emergono dai contesti locali.
La Carta dell’Appennino intende produrre un nuovo discorso sulle aree interne, sostenendo il bisogno di un piano di cambiamento della condizione di marginalità geografica, politica e sociale di questi luoghi. Per farlo è necessario mettere assieme le persone che vivono o che vogliono vivere in questo pezzo di territorio, condividendo lo scopo di rovesciare l’egemonia culturale della svendita della montagna al mercato e l’idea che le aree rurali e i piccoli centri siano destinati a un ineluttabile destino di subalternità alla grande città.
Stop alle Grandi opere
L’Appennino non può continuare a essere percepito come una barriera da superare con grandi infrastrutture quando poi mancano manutenzione ordinaria e piccoli interventi nella fitta rete viaria esistente. Questi collegamenti “secondari” sono di fondamentale importanza per le piccole comunità e i loro flussi. Inoltre, tra le grandi opere in programma c’è la questione del gasdotto SNAM e di tutte le opere ad esso legate, che produrrà pesanti alterazioni ambientali senza generare effettivi benefici per i territori in cui transita.
La Carta dell’Appennino sostiene che le grandi opere vadano fermate e gli ingenti capitali pubblici necessari alla loro realizzazione destinati a interventi migliorativi delle infrastrutture di comunicazione attualmente presenti (viarie, ferroviarie, informatiche), interventi che devono essere effettuati tenendo conto del territorio e delle sue caratteristiche (presenza di fauna selvatica, diffusione capillare dei borghi, dissesto, etc.). La Carta intende anche affermare che l’unica grande opera di cui ha oggi necessità il Centro Italia sia la ricostruzione dei territori colpiti dal sisma.
L’Appennino non è una casa vacanze
Gli investimenti che vediamo fare in quota sembrano delle piccole Disneyland, dei parchi gioco a uso e consumo di chi vive a valle. Interventi che riguardano anche l’innevamento artificiale e gli impianti di risalita, un insieme di operazioni presentate come unica via possibile per lo sviluppo dell’Appennino, veri e propri ricatti destinati alla popolazione locale.
La Carta dell’Appennino afferma che occorre modulare un concetto diverso di turismo, basato innanzitutto sul fatto che non può essere l’unica visione di sviluppo legata alla montagna.
La Carta dell’Appennino afferma la necessità di individuare percorsi di sviluppo condivisi con le popolazioni locali, che non si configurino come una sorta di scelta obbligata, ma risultino capaci di coinvolgere e valorizzare le specificità dei territori. Si ritiene necessario diversificare le economie locali e favorire la stanzialità delle popolazioni per fare in modo che l’Appennino sia vissuto con costanza e non semplicemente visitato in alcuni periodi dell’anno.
Riappropriazione dei beni comuni
Questo campo di argomentazione ci porta a riflettere sulla necessità di mettere al riparo “risorse” come quella dell’acqua da meccanismi predatori e al tempo stesso di immaginare modelli alternativi a partire dall’utilizzo dei beni comuni materiali e immateriali. In questo appare sensato stimolare un confronto aperto sulle potenzialità di strumenti quali le comunanze agrarie e le cooperative di comunità.
La Carta dell’Appennino sostiene il bisogno di fare sintesi delle tante esperienze di agricoltura, turismo sostenibile e salvaguardia ambientale esistenti sui territori, al fine di produrre un’alternativa capace di diventare punto di riferimento per pezzi di mondo che potrebbero risultare affini.
Partecipazione
L’Appennino viene troppo spesso visto come territorio su cui far cadere scelte prese altrove o più in generale senza un reale processo di coinvolgimento e condivisione con chi lo vive, lo attraversa, lo tutela.
La Carta dell’Appennino afferma la necessità di garantire momenti di partecipazione non come meri strumenti di accettazione di politiche impositive ma come modus operandi per rendere i processi decisionali realmente condivisi.
Memoria collettiva e progettualità
Per l’elaborazione di progetti innovativi e alternativi a modelli economici e sociali dominanti, i quali hanno dimostrato soprattutto in riferimento alle aree interne montane tutti i loro limiti (disuguaglianze e fenomeni di marginalizzazione), è essenziale procedere ad un recupero della conoscenza storica delle comunità e dei territori appenninici. Un Appennino depositario di una propria civiltà con caratteri originali che si sono definiti nel corso dei secoli.
La Carta dell’Appennino afferma la necessità che le popolazioni locali abbiano consapevolezza della loro storia e delle loro radici e che in tal senso si contribuisca all’elaborazione di una memoria collettiva attraverso una lettura che tenga conto delle implicazioni sociali, economiche, antropologiche, culturali (compresa la cultura materiale).
Memoria collettiva e progettualità
Per l’elaborazione di progetti innovativi e alternativi a modelli economici e sociali dominanti, i quali hanno dimostrato soprattutto in riferimento alle aree interne montane tutti i loro limiti (disuguaglianze e fenomeni di marginalizzazione), è essenziale procedere ad un recupero della conoscenza storica delle comunità e dei territori appenninici. Un Appennino depositario di una propria civiltà con caratteri originali che si sono definiti nel corso dei secoli.
La Carta dell’Appennino afferma la necessità che le popolazioni locali abbiano consapevolezza della loro storia e delle loro radici e che in tal senso si contribuisca all’elaborazione di una memoria collettiva attraverso una lettura che tenga conto delle implicazioni sociali, economiche, antropologiche, culturali (compresa la cultura materiale).
Dentro e fuori il cratere. Un'indagine sui territori del sisma
Da qualche tempo abbiamo avviato un percorso di ricerca per gettare luce sui bisogni, i mutamenti e le prospettive delle popolazioni del cratere marchigiano
Se volete darci una mano compilate il questionario e aiutateci a condividerlo
La ricerca è sviluppata assieme a T3 Transdisciplinary research group on Territories in Transition e si tratta di un progetto indipendente e completamente autofinanziato
Terremoto: toccare i fondi e toccare il fondo
Va avanti da settimane la polemica sui fondi europei destinati all’area del cratere 2016/2017 ed utilizzati dalla Regione Marche in località in cui i cittadini ascoltando la parola “cratere” pensano (comprensibilmente) ancora ad un vulcano e non a case distrutte, macerie e pavimenti ammuffiti. Non entreremo nel dettaglio delle delibere regionali e del “dove e quanto” è stato dirottato altrove, su questo vi invitiamo a leggere quanto già scritto da Emidio di Treviri. Quella che vogliamo provare ad esprimere con queste poche righe è la rabbia che proviamo rispetto alla situazione che ci troviamo di fronte, e la differenza poco simbolica e molto reale che c’è tra il toccare i fondi e toccare il fondo.
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