Da chi e da cosa dobbiamo “Salvare l’Appennino”




Da qualche tempo la nostra terra è oggetto di una particolare attenzione. La perdita di popolazione, la crisi occupazionale e la contrazione dei servizi pubblici hanno acquisito rilevanza in seguito al sisma, divenendo triste occasione di speculazioni politiche ed economiche della peggior specie. Al Salvini di turno si sono infatti aggiunti noti imprenditori locali animati, per lo meno sulla carta, da una volontà quasi caritatevole, indirizzata a salvare l’Appennino dal declino demografico e socio-economico. 


Quello che emerge dagli studi del territorio e dalla lettura delle sue dinamiche promossi da questi soggetti è un quadro allarmante; un contesto deprivato che deve essere salvato dalle prospettive cui sembra destinato tramite un intervento privato di carattere quasi filantropico. Il problema di una simile interpretazione, dal nostro punto di vista, risiede nel merito e nel metodo di queste iniziative.

Da una parte, rappresentano i contesti terremotati come un’area in tracollo senza leggerne le cause e gli andamenti strutturali dovuti a precise scelte amministrative, dall’altra parte propongono azioni calate dall’alto che indirizzerebbero lo sviluppo locale senza un reale processo di ascolto delle esigenze e delle necessità della popolazione che questi luoghi li vive e li abita. L’ultima di queste trovate viene dalla Fondazione Aristide Merloni, costola di noti imprenditori del fabrianese che per decenni hanno dettato le fortune e le sfortune dei territori interni umbro-marchigiani. In un rapporto recentemente pubblicato si parla di “tribù dell’Appennino”.




Un termine riferito a gruppi sociali semplici e monoculturali, che fa trapelare una rappresentazione delle popolazioni come incapaci di definire una visione del proprio futuro. Il linguaggio, del resto, non è neutro e influenza la percezione delle cose e del mondo che ci circonda. In questo caso quello che vuole essere comunicato è un nuovo corso di sviluppo per le nostre terre, guidato da iniziative che provengono da grandi gruppi imprenditoriali. La Granarolo che promuoverà allevamenti di vacche nutrici, la Ferrero che si concentrerà sulla produzione di nocciole prenderanno un territorio bisognoso e gli prefigureranno nuovi indirizzi agro-alimentari. Grandi multinazionali che investiranno nelle nostre zone sembrerebbero una buona notizia ai più se non fosse che lo faranno senza ascoltare i desideri e le aspettative di chi le abita, come fossero dei bisognosi alla ricerca di una qualsiasi forma di aiuto. La nostra preoccupazione è che si stia delineando una nuova forma di sfruttamento di questi territori, non priva di riflessi e problemi ambientali.

Tra gli interventi promossi dalla Fondazione Aristide Merloni spicca infatti l’idea di costruire una nuova strada Camerino-Ascoli Piceno, che sommerebbe i propri effetti ai già consistenti impatti prodotti dal tratto pedemontano della Quadrilatero.


Ci chiediamo quindi a che tipo di futuro sono destinati i nostri luoghi e, soprattutto, come possa un ristretto gruppo di attori economici prendere decisioni unilaterali per un’area del cratere composta da 140 Comuni disposti su ben 4 differenti Regioni.
Come rete Terre in Moto abbiamo posto da sempre al centro della nostra azione la necessità di un confronto reale con chi l’Appennino lo vive e, nonostante tutto, qua continua a resistere. 

Oggi, quello di cui dobbiamo parlare è la ricostruzione mai avvenuta, le lungaggini burocratiche, le responsabilità politiche e la mancanza di un investimento statale, non di quello privato. Per questo continueremo a vigilare sui tentativi di trasformazione dei nostri ambienti che non passino per un canale di democrazia deliberativa, proveniente da quelle pratiche di chi i territori li anima e li vive quotidianamente.


Coprights @ 2016, Blogger Templates Designed By Templateism | Distributed By Gooyaabi Templates