Vuoto a perdere: i borghi fantasma di Serravalle del Chienti - Lo stato delle cose


Articolo di Simone Vecchioni su Lo stato delle cose

Il futuro è già passato, e non ce ne siamo nemmeno accorti.

(Vittorio Gassman in C’eravamo tanto amati di Ettore Scola, 1974)

Percorrendo la SS77 all’altezza di Colfiorito, al confine tra Marche e Umbria, è possibile imboccare una strada che non consente solo un viaggio nello spazio ma anche nel tempo.

L’itinerario ci porta verso Sud e attraversa alcuni dei paesi e dei borghi che furono devastati dal terremoto del ’97, di cui in queste settimane si ricorda il ventennale. Un terremoto che fu seguito da una ricostruzione citata come modello in convegni e incontri. Ricostruzione che viene impietosamente paragonata alla gestione “del post sisma dell’emergenza continua” tuttora in corso nelle regioni dell’Appennino Centrale. Percorrendo quella strada, dicevamo, si attraversano spazi incantevoli da un punto di vista paesaggistico, come d’altra parte è consuetudine in quell’area dell’Appennino. Scendendo ancora si arrivava a Visso, “si arrivava” perché il tratto della Valnerina che conduceva alla sede del Parco nazionale dei Monti Sibillini è chiuso a causa di un’imponente frana che ha persino spostato il corso del fiume. Ma noi nel nostro viaggio non dobbiamo arrivare a Visso, la porzione di territorio che ci interessa e che riempie di vuoto le foto di Mario Capriotti si trova chilometri prima.

Il nostro viaggio nello spazio ci porta ad Acquapagana, Cesi, Corgneto, Taverne e in altri borghi che tolgono il fiato per la loro mancanza di vita. Case in legno o in muratura perfettamente uguali tra di loro ricostruite secondo il modello del ’97, perfettamente uguali anche nel trasmettere una sensazione di spaesamento che lascia attoniti. Quegli spazi avevano accolto venti anni fa gli sfollati dei rispettivi paesi ma nel corso di queste decadi sono diventati dei feticci di nuclei abitati. Anche nel mese di agosto, periodo in cui sono state scattate le foto e in cui qualche seconda casa si ripopola, sembra di essere in un set cinematografico abbandonato. Un villaggio del far west creato ad hoc per girare qualche scena in esterno giorno con i terremotati al posto dei pistoleri con le loro colt. Lo spazio vuoto ha una tale forza che è persino difficile immaginare quei luoghi popolati, quello spazio vuoto stride con il racconto del “modello ’97” che viene proposto in queste settimane, in questi mesi, in questi anni.


Anni. Abbiamo parlato di un viaggio nello spazio e nel tempo, questa seconda parte del cammino però non ci porta indietro a quando quelle strutture sono state edificate ma ci porta avanti verso un futuro distopico. I borghi vuoti raccontati attraverso queste immagini non ci parlano solo di un bug in un modello che pareva inattaccabile ma gridano, urlano senza voci per avvertirci che i paesi di tutto l’Appennino rischiano di fare la stessa loro, solitaria fine. Sono lì a testimoniare che ricostruire un paese non significa solo ricostruire le case. E adesso ai vuoti svelati dalle foto di Capriotti si aggiungono qua e là in quelle stesse immagini nuove macerie accatastate, a testimoniare che c’è stato un altro terremoto nel 2016.

Se non interroghiamo la memoria con un’idea di futuro rischiamo semplicemente di rincorrere modelli applicandoli in contesti diversi, semplificando e allontanando la complessità. Ancora una volta saranno modelli emergenziali che non terranno conto di quello che sarà, che non affronteranno il vero modello che andrebbe aggredito: il modello di sviluppo.
Immaginare l’intera area colpita dal terremoto del 2016 svuotata dai suoi abitanti fa venire le vertigini, ma anche qui occorre non generalizzare. Molti paesi, anche se a stento, sopravviveranno comunque e altri probabilmente ne usciranno addirittura rafforzati. Non dobbiamo però dimenticarci che ogni pezzo che andrà perso modificherà il quadro d’insieme e potremmo ridurci ad avere solo un’astrazione selettiva della realtà.




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